ADOLFO WILDT
L’anima e le forme
Di Daniele Crippa
Scolpire
significa immettere lo spirito nella materia.
Wildt per
spiegare come intendesse la scultura scrisse “ L’opera d’arte non è per gli
occhi ma per l’anima . “
L’artista
dichiara essere suo un credo che probabilmente era il sogno di ogni scultore:
fondere nel volume la perfezione estetica insieme al messaggio etico
dell’opera.
Figlio di un
portiere di Palazzo Marino, nacque in una antica famiglia milanese che da
secoli portava il cognome di antenati svizzeri, era molto povero ma dotato di
una forza di volontà ferrea grazie alla quale si impose fin da giovanissimo
come uno dei migliori collaboratori di molti scultori milanesi, anzi dimostrò
immediatamente le sue eccezionali doti e subito fu ricercato per essere
considerato sul mercato il migliore lisciatore e lucidatore di marmi.
Impossibilitato a
viaggiare e visitare musei per scoprire, ammirare e comprendere le opere già
presenti nell’olimpo dell’arte si inventò un metodo geniale per sopperire alla
sua impossibilità causata dalle sue ristrettezze economiche: divenne assiduo
frequentatore di mercatini e librerie. Il tempo che dedicò all’acquisto ed allo
studio delle fotografie riproducenti sculture dei grandi maestri fu la sua vera
scuola !
Wildt diceva
“ Ero dunque povero e non potevo studiare come avrei voluto, non potevo recarmi
a Roma e Firenze come avrei voluto a guardare i capolavori dei nostri grandi e
nutrirmene lo spirito. Dovevo accontentarmi delle fotografie: perché costavano
meno. Ma quelle piccole fotografie avevano il pregio di accentuare tutti i
chiaroscuri della scultura ed io vi passavo sopra delle lunghe ore di
meditazione e di ricerca. E’ il segreto della mia arte…..rapito alle fotografie
“.
Il concetto
dell’immagine, dell’importanza del dettaglio, della parte dell’opera che deve
raccontare sono prerogative che subito appaiono nelle sue sculture. Il
titanismo è altra sua prerogativa, l’artista è l’unico in quel panorama che si
affaccia all’alba del nuovo secolo che riesce a descrivere il senso del
contrasto, di quella lotta che esiste nella pressione interna delle forme e che
sfocia cavalcando l’interno flusso energetico che nella materia esiste.
“ L’opera
d’arte non è per gli occhi ma per l’anima “.
In questa
dichiarazione l’artista vuole sottolineare il suo credo: la sua scultura non
deve soddisfare solo la parte estetica ma necessariamente appagare quella
etica.
Vero, nelle
sue sculture Wildt riesce a fondere la Materia con lo Spirito.
Il successo è per
lui immediato ed in maniera sfolgorante subito varca i nostri confini e le
commesse gli giungono numerose dai grandi intellettuali dell’epoca. Sono
sculture che intrigano, stupiscono e coinvolgono per quella sua capacità di
trasformare il marmo in carne. Non facile è il momento per chi si è
intellettualmente presentato al giudizio dell’arte. Nel 1912 nasceva quel –
nuovo - che per la scultura era un sasso o meglio un macigno nel lago: difatti
Marcel Duchamp chiedeva a Fernad Leger se esistesse una scultura più bella di
un’elica di aeroplano, contemporaneamente Pablo Picasso costruiva una chitarra
in cartone e Umberto Boccioni pubblicando il Manifesto tecnico della Scultura
Futurista cancellava ogni passato, mentre Filippo Tommaso Marinetti
affermava essere una macchina in velocità più bella della Nike di Samotracia
!
La risposta del
nostro ormai consacrato artista fu vincere alla Permanente di Milano il premio
più prestigioso, quello del Principe Umberto, con l’opera La Trilogia ed il
Corriere della Sera così commentò l’evento “ L’opera fu la più discussa, ma
anche ammirata, decisivo l’apprezzamento del re che si fermò a lungo davanti al
bizzarro e poderoso gruppo “ Fu il riconoscimento per una magistrale esecuzione
in totale controtendenza ai modi della scultura in auge del momento avanguardista.
Margherita
Sarfatti la fondatrice del movimento Novecento, guro dell’arte italiana e
considerata il maggiore e più influente critico dell’arte contemporanea
spiegava il suo successo internazionale con il fatto che : “ se le montagne
stan ferme gli uomini viaggiano ed i cataloghi viaggiano. Vero, la cultura non
si ferma mai ! “
Ormai Wildt è
artista unico nel panorama del novecento e grazie alle sue capacità, dotate di
una maestria tecnica fuse ad una magistrale interpretazione tematica, fa si che
la Sarfatti dichiari “ pensoso scalpellino lombardo si rivela fratello di
quegli antichi rivieraschi dei nostri laghi, i tagliapietre comancini e
campionesi, che inerpicarono nel cielo la gotica selva del Duomo e scavarono
nel sasso la gloria d’Italia fino alle sponde remote “. Si sottolinea questa
suo sapere lavorare il marmo che è assolutamente unico nel suo
contemporaneo ma che si riallaccia ad una historia legata ai grandi
consacrati quali Bernini e Michelangelo ma pure ai grandi sconosciuti artigiani
che hanno fatto uniche le nostre chiese ed i nostri incredibili monumenti di
cui l’Italia è più che ricca. Oggi si direbbe il dna continua.
Il clamore intorno
ai suoi successi fa dire ad un altro importante critico Bucci :“ Il fascino di
Wildt stava in un’estraneità che lo proiettava in una mitologia arcaica, in
spazi siderali, come all’origine del mondo “.
Ormai è
considerato il mago del marmo perché sa plasmarlo come nessuno, ritrovarne
dentro i dettagli, le anatomie ed i colori. E’ il negromante che ci racconta
quanto vi è dentro ogni immagine, ogni scultura può essere eretica o santa: può
essere tutto.
Il Vate, Gabriele
D’Annunzio lo definì: “ grande artista “.
Sicuramente Wildt
può essere considerato uno dei grandi simbolisti ma pure il primo primitivo
moderno. Il mondo conosce questo grande del marmo, il movimento Novecento
invade ed influenza l’ambiente culturale internazionale. Mi piace ricordare
l’attenzione che le sue opere ottennero in Argentina dove il giovane Lucio
Fontana presentò l’evento attraverso una incisione inneggiante alla sua opera,
era il 1925 a Rosario di Santa Fè, due anni dopo visitando l’Esposizione
Biennale di Brera alla Permanente di Milano affermò “ El unico es Wuildt
veramente maravilloso “ e l’anno dopo si iscrisse al suo corso di scultura in
Brera. Il maestro riconobbe immediatamente il genio del giovane argentino e lo
promosse subito dal secondo anno al quarto anno.
Il mondo lesse la
sua- Arte del Marmo - edita da Hoepli mentre la sua consacrazione ufficiale
venne con la nomina di Accademico d’Italia insieme ad Luigi Canonica, Antonio
Mancini, Giulio Aristide Sartorio, Marcello Piacentini, Brasini, Di Giacomo,
Enrico Fermi, Marinetti, Mascagni e Pirandello.
Nel 1930 la
mostra del Novecento Italiano organizzata dalla Sarfatti a Buenos Aires
coinvolse entusiasticamente la numerosissima comunità italiana e non solo: il
cognome Wildt era sulla bocca di tutti.
Il marmo nelle sue
mani si trasformava in messaggio, emozione ed in carne.
I chiaro
scuri, le coraggiose affermazioni, i suoi credo sono nel cuore di tanti,
mai in vita un’artista verificò così profondamente il successo della propria
arte. La capacità di affrontare temi profondi e così differenti tra di loro
come: La Vita - Il Dolore - Il Santo - La Morte - La Pietà – L’Anima – La Mater
Purissima – La Vittoria – La Luce – La Madre - Il Figlio – San Francesco, di
sviscerarne il loro profondo credo e il riuscire a farci raggiungere la vera
anima dell’opera fu unica.
Il 13 marzo 1931
termina di sorprendere con la sua arte il mondo che attonito lo ricorda in
moltissimi necrologi, amo ricordare cosa scrisse Mario Sironi: “ Adolfo Wildt è
morto. Scompare uno spirito delicato e umanissimo che sembrava raccogliere
talvolta nello spirito, in un chiuso recesso di Milano, città d’oro e di ferro,
le trame più sottili, i sogni più umili, quasi intessuti di lagrime e pie
meditazioni. Il marmo traduceva in apparenze concrete, reali, quelle
palpitazioni mistiche. E nel marmo i sogni si ampliavano in impeti grandiosi,
senza che la materia si rivelasse in alcun punto nella libertà della sua
natura….. E forse in questa trasformazione mistica della dura compagine del
marmo, che risiede il segreto dell’arte di Wildt, la sua espressione più
completa e più alta, la sua italianità di nuovo Maestro, di Campione. “
Un grazie ai
curatori Paola Mola e Fernando Mazzocca che regalano al visitatore il più
raffinato - Choc emotivo ed estetico – che una mostra d’arte possa
regalare.